lunedì 16 gennaio 2012

EVVIVA EVVIVA PARENTHOOD!

Parenthood, un family drama come non se ne sono mai visti. Buoni sentimenti a profusione. Ma finalmente reali!

Ma quanto è bello Parenthood? Tanto, tanto, tanto. Sono alla terza stagione e me ne sono accorto fin dalla prima, solo che poi guardo episodi assolutamente sublimi come quello andato in onda di recente negli States, il dodicesimo dell’ultimo ciclo, e penso che, siamo davvero pochi in Italia ad essercene accorti. Giornali e blog vari, preoccupati come sono a lodare a più non posso American Horror Story o a stroncare a più non posso Terra Nova, si dimentichino a più non posso di un capolavoro simile. Complici di questa grave dimenticanza le reti italiane, come Joi che non lo pubblicizzò a dovere quando a fine 2010 giunse da noi e peggio ancora Canale 5, che dopo avergli concesso la prima serata lo sbatté senza troppi complimenti in seconda serata al minimo calo di ascolti (ancora non so decidermi se Canale 5 offrì il prime time in un impeto di coraggio, o perché serviva un programma qualsiasi da sacrificare nelle calde serate di Luglio). L’episodio in questione mette l’intero clan dei Braverman, per volere del patriarca Zeek, in viaggio per andare a far visita all’anziana madre Blanche, che sta per compiere 86 anni. Zeek è agitatissimo, poiché con la madre non ha mai avuto un facile rapporto (“cosa ti fa credere di essere tanto speciale?” chiese la donna al figlio quando lui, da ragazzo, le raccontò di voler fare l’attore) ma, tra una traversia e l’altra, si giunge a destinazione e l’happy end è comunque assicurato. Ma niente è scontato e tutto è azzeccatissimo, perché i personaggi, anima di questo come di un qualsiasi telefilm degno di questo nome, sono azzeccatissimi (e aiutati da interpreti formidabili, che abbiano 40 o 9 anni), a cominciare da Zeek, burbero e talvolta irritante come se ne sono visti in centinaia di occasioni, ma con due occhietti che quando si fanno lucidi, in delicati momenti come un profondo chiarimento con l’anziana madre, ti mostrano un’anima meravigliosa. Camille, sua moglie, che con quei modi naif e disincantati riesce a far tornare la calma anche di fronte al peggiore dei drammi. Crosby, lo zio giocherellone, farfallone e anche un po immaturo, ma senza il quale il nucleo famigliare sarebbe terribilmente più noioso, Kristina, la santa moglie di Adam, che nel tentativo di tirare su nel migliore dei modi un figlio autistico è travolta da continue insicurezze e paure ma sa di dover fare il suo dovere, anche se il figlio in questione, Max (Max Burkholder, a cui bisognerebbe dare di corsa un Emmy! Perché Shirley Temple può avere un Oscar quand’è ancora in fasce e gli attori delle serie tv devono fare 40 anni?!) la chiama per ben due volte, e urlando, “bitch”, costringendola a punirlo e col timore che la penitenza possa incattivirlo ancora di più. E poi l’idea di normalità, di verità, che viene fuori guardando ogni sequenza, anche le (apparentemente) più inconsistenti, come la piccola Sidney che, tenendo lungo il viaggio in auto la mano fuori dal finestrino, cercando di fermare il vento con la sua manina, ci fa tornare alla mente quello che noi stessi, una o molte altre volte abbiam fatto mentre, spensierati, facevamo lunghi viaggi. O ancora il momento in cui Kristina, che alla fine – colpo di scena – decide di prendere l’aereo e con Max e la figlioletta di 3 mesi si presenta dalla nonna in questione, spingendo a domandarci quanto deve aver speso di aereo per quell’improvvisata, si affretta a darci una risposta spiegando teneramente al marito Adam che sono volati via 500 dollari. I buoni sentimenti regnano sovrani anche qui, ma con dialoghi e circostanze che sono di una verità mai nemmeno intravista in altre serie del genere come l’ipercalorico Settimo Cielo. Tutti noi vorremmo una famiglia come i Braverman, legatissimi si, ma per niente opprimenti fra genitori e figli, fratello e sorella, sinceri e presenti l’uno per l’altra, non senza invidie, rancori, rivalità. A cui però, con l’amore e la buona volontà si pone sempre rimedio. Dite che è pura fiction? Ma non penso proprio! Nora Walker e la sua prole in Brothers & Sisters sono ormai uno sfocato ricordo. Questo si che è un family drama (tra i cui produttori, non fa male ricordarlo, figura Ron Howard)! Bravo, Jason Katims!

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